La nostra esperienza
La ricerca del senso del teatro e di un nuovo linguaggio non può che iniziare quando ci si avventura concretamente in territori umani, culturali ed emotivi a noi ancora sconosciuti, lasciandosi alle spalle ciò che già ci è noto.
E’ attraverso una sorta di isolamento di se stessi che è forse possibile far emergere un nuovo senso del teatro. Il teatro in carcere è ancora un’utopia, un desiderio, una necessità per ricercare se stessi e una propria identità culturale e personale.
La ricerca consiste nell’eliminare il superfluo, per riscoprire ogni volta, ogni giorno, la funzione originaria del teatro, un linguaggio nuovo, che si nutre di fatti concreti della vita.
Anche le difficoltà, le resistenze, i pregiudizi possono portare ad ampliare l’obiettivo dalla ricerca puramente formale, per arrivare all’individuo, all’uomo e alle sue motivazioni, all’incontro con l’altro.
Il carcere è un’isola dentro le nostre città, un’isola dimenticata che non si vuole conoscere, retta da regole che non contemplano l’esistenza di un teatro e tanto meno lo scambio culturale ed umano.
A Volterra il “nostro teatro” è una cella di tre metri per nove. Ma il nostro problema, il nostro obiettivo non è rendere più umane le carceri, quanto quello di mettere alla prova il teatro in queste condizioni.
Per noi, paradossalmente, il carcere può diventare il luogo dove reinventare il teatro e restituirgli la sua necessità. Quando siamo entrati in carcere per la prima volta nel 1988, pareva impossibile far nascere un teatro dentro quelle mura. L’impossibilità in un carcere si manifesta concretamente nella sua struttura, nella sua funzione, nelle leggi scritte che lo regolano e in quelle non dette che lo abitano. E quell’impossibilità non era solo un’idea, era anche una sensazione fisica che si manifestava in noi stessi e in chi guardava dall’esterno: si stava forzando un limite culturale che era negli altri, ma anche in noi stessi.
Impossibile come scelta, come utopia, come necessità, ma anche come stato o condizione. L’impossibile come attitudine della mente e del corpo attraverso cui spingersi alla ricerca di una propria espressione.
E’ da sensazioni fisiche ed emotive che hanno via via preso corpo le prime suggestioni che ci hanno portato a far nascere il progetto de I teatri dell’Impossibile, di cui la Compagnia della Fortezza è fulgida incarnazione.
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La Compagnia della Fortezza nasce nella Casa di Reclusione di Volterra nel 1988 ad opera del regista e drammaturgo Armando Punzo. Sono il caso e la necessità a guidare quella felice intuizione destinata ad attuare una doppia rivoluzione: nel mondo del teatro e nel mondo delle carceri. E’ solo il caso a lasciare che gli occhi di Armando Punzo, terminata l’esperienza con il Gruppo Internazionale L’Avventura, con il quale aveva raggiunto Volterra nell’ ’82, cadano sul carcere. Ed è così che il tempo e lo spazio della reclusione e della separazione diventano la risposta alla necessità di fare teatro lontano dai circuiti tradizionali, lavorando con persone che non fossero professionisti, senza assecondare le dinamiche e le consuetudini del sistema.
Grazie anche alla mente illuminata del compianto, allora direttore del carcere, Renzo Graziani, ha avuto origine la Compagnia della Fortezza.
Il teatro si è incuneato come terzo interlocutore nella quotidianità dell’istituzione carcere, da un lato, e dei detenuti, dall’altro. Sparigliando le carte in un piccolo universo chiuso e sconosciuto all’esterno, il teatro della Compagnia della Fortezza è riuscito a trasformare il carcere di Volterra -allora considerato uno dei più duri e punitivi d’Italia- in un istituto modello. Il teatro è riuscito nel giro di breve tempo a conquistare la fiducia degli agenti di polizia penitenziaria e dei detenuti: una sorta di patto non scritto per cambiare le sorti dell’istituto volterrano. Se oggi a Volterra si può affermare che i rapporti tra detenuti e agenti non sono mai tesi e guidati dal rispetto della persona, che le condizioni di vita sono più che discrete, che il carcere riesce a promuovere il reintegro del detenuto nella società, questo lo si deve alla Compagnia della Fortezza e a quel nucleo originario di persone che accettò la sfida e ne ha tramandato il perpetuarsi fino ad oggi.
Armando Punzo e la Compagnia della Fortezza, attraverso la pratica quotidiana del teatro, producono in media uno spettacolo all’anno, tradizionalmente presentati a luglio all’interno del carcere durante il Festival VolterraTeatro e portati in tournée nei maggiori teatri, festival e rassegne.
Eccezionali i risultati conseguiti: spettacoli da annoverare negli annali della storia del teatro, consenso di critica e operatori, premi, ma anche la consapevolezza di essere riusciti laddove ben pochi avrebbero scommesso, ovvero rovesciare il ruolo e l’immagine di un’istituzione. Il carcere che da Istituto di Pena diventa un Istituto di Cultura.
Da qui parte la nuova sfida all’Impossibile della Compagnia della Fortezza, ovvero fare degli angusti spazi che fino ad oggi hanno ospitato la sua attività (alcune ex celle, il Teatro Renzo Graziani -una trentina di metri quadri anch’essi ricavati da ex celle-, un corridoio e -in alcuni periodi dell’anno, grazie alla disponibilità di tutti i detenuti che rinunciano alle attività sportive e ricreative- alcuni cortili all’esterno) il primo Teatro Stabile in Carcere al mondo.