Un’idea più grande di me
Armando Punzo
conversazioni con Rossella Menna
Luca Sossella Editore
I edizione 2019
II edizione 2020
“Come trovare la forza per affrontare un’esistenza che si dischiude al futuro senza avere nessuna certezza che abbia un senso?
Immagina che ci sia qualcuno che ti sta sognando, in questo momento, e che ti sogna così come tu immagini di poter essere al massimo delle tue potenzialità. È tuo compito dare seguito al suo sogno, trovare uno sviluppo. Non credi sia bello pensare che non dipendiamo soltanto da noi e dalla nostra volontà ma anche dai sogni degli altri?”
CALENDARIO INCONTRI con gli autori – II edizione
- Palermo, venerdì 2 ottobre ore 18.00 – Prospero/Enoteca letteraria – con Alessia Franco
- Cercola (NA), venerdì 9 ottobre ore 18.30 – Villa Buonanno – Saluti di Vincenzo Fiengo, Antonella Ferraro e Tony Manna. Con Mauro Acanfora – A cura di Napoli Club Cercola Partenopea
Modena, sabato 7 novembre ore 17.00 – Festival Periferico Festival OverlabIncontro annullato
CALENDARIO INCONTRI con gli autori – I edizione
- Volterra (PI), 2 agosto 2019 – Casa di Reclusione
- Lido di Camaiore (LU), 6 agosto 2019 ore 21.30 – Pontile
- Carpi (MO), 10 ottobre 2019 ore 18.00 – Liceo Manfredi Fanti – con Laura Apparuti
- Napoli 27, ottobre 2019 ore 11.30 – Museo Madre
- Baiano (AV), 27 ottobre 2019 ore 18.00 – Pro-Teatro – con Francesco Scotto
- Bari, 12 novembre 2019 ore 18.00 – Libreria Laterza – con Francesco Perrelli e Maria Grazia Porcelli
- Monopoli (BA), 13 novembre 2019 ore 16.30 – Biblioteca comunale Prospero Rendella – Festival Prospero con Giada Russo
- Potenza, 14 novembre 2019 ore 18.00 – Libreria Mondadori – Città Cento Scale Festival con Francesco Scaringi
- Benevento, 15 novembre 2019 ore 18.00 – Mulino Pacifico – in collaborazione con Solot Compagnia Stabile di Benevento e .furiaLAB
- Milano, 17 novembre 2019 ore 17.30 – Piccolo Teatro Grassi/Chiostro Nina Vinchi – Bookcity
- Firenze, 29 novembre 2019 ore 18.00 – Fondo Arti e Gestalt – IV convegno Arte e Gestalt con Paolo Quattrini
- Manno (Svizzera), 4 dicembre 2019 ore 20.30 – Sala Aragonite di Manno – con Matteo Bellinelli
- Vada (LI), 17 gennaio 2020 ore 17.30 – Teatro Ordigno – con Daniela Ciurli
- Bologna, 24 gennaio 2020 – libreria Ambasciatori – con Massimo Marino (in collaborazione con ERT)
- Pistoia, 25 gennaio 2020 ore 17.30 – Lo spazio di Via dell’Ospizio – con Giacomo Trinci
- Reggio Emilia, 31 gennaio 2020 ore 21.00 – Casa delle Storie – con Monica Morini e Michele Pascarella
- Roma, 1 febbraio 2020 ore 18.30 – Palazzo delle Esposizioni
- Rovereto (TN), 28 febbraio 2020 ore 18.30 – Libreria Arcadia
- Trento, 29 febbraio 2020 ore 18.30 – Spazio Off
“Sono trent’anni che mi chiudo ogni giorno in questa stanza. Per la prima volta, oggi, mi è sembrata una cosa enorme. Gli inizi sono sempre prossimi alla fine, quando cominci pensi che tutto possa finire un attimo dopo”. Invece in quella stanza del Carcere di Volterra in cui è entrato per la prima volta nel 1988, Armando Punzo ci torna ogni giorno da una vita, per fare teatro con i detenuti-attori della sua Compagnia della Fortezza. “Se ho scelto di fare il mio teatro in questa stanza – ha chiarito tante volte il regista – non è perché mi interessi il carcere. Anzi. A me interessa solo chi riesce a sentirsi libero in un carcere, chi riesce a decrescere, depotenziarsi, sminuirsi, farsi talmente piccolo da passare come pensiero altro attraverso le sbarre della prigione. Il carcere reale è metafora concreta di un carcere più ampio in cui tutti viviamo. Entrare qui dentro significa varcare un limite che esiste anche nel mondo fuori, ma che in carcere è visibile in modo abnorme. Il teatro diventa uno strumento perfetto per straniarlo. Perché quel limite altro non è che l’uomo. Sono io”. Forte della sua ricerca concreta e circoscritta sul rapporto tra limiti e resistenza, in trent’anni di spettacoli nati in una cella di tre metri per nove e presentati nel cortile assolato della prigione medicea, il regista, drammaturgo e attore ha ottenuto i massimi premi e riconoscimenti italiani ed europei, facendo della Fortezza un riferimento imprescindibile nella storia del teatro contemporaneo, una compagnia che attira migliaia di spettatori a ogni nuovo debutto e calca i più prestigiosi palcoscenici del Paese.
Dal desiderio di interrogarsi sul senso profondo e sulle implicazioni personali, sociali e politiche di una scelta tanto radicale è nata Un’idea più grande di me, autobiografia dell’artista, frutto di una lunga serie di conversazioni con Rossella Menna, scrittrice e studiosa con cui Punzo dialoga dal 2012. Esito di otto anni di incontri, e due di scrittura, il volume non è (solo) un libro sul teatro, né la restituzione senza filtri di una testimonianza, ma un’opera narrativa, una sorta di romanzo di formazione sui generis. Nel corso delle sue quattrocento pagine, infatti, regista e intervistatrice, che fin dall’inizio rivelano l’intimità di un parlarsi abituale, diventano due personaggi veri e propri, protagonisti di una storia nella storia. Tra le maglie del racconto scorre cioè una seconda trama, quella di un confronto vero, portato alle estreme conseguenze, tra generazioni lontane che hanno nostalgia e necessità l’una dell’altra: l’una per trovare il coraggio di osare, l’altra per imparare a infonderlo.
Cominciando dai ricordi dell’infanzia felice, dell’adolescenza inquieta, e degli anni difficili della giovinezza in cui non è chiaro ciò che si è e ciò che si vuole essere, ma l’anima brucia e spinge a cercare una strada per sé – i dialoghi procedono in ordine cronologico e conducono il lettore verso la scoperta del teatro, l’approdo a Volterra, gli anni con il Gruppo L’Avventura, i primi tentativi da regista e da scultore, l’entusiasmo, la paura. Ma il racconto degli anni di fame e freddo, immancabili in ogni biografia che si rispetti, non evolve verso la conquista di un elisir definitivo, lasciando invece spazio a un viaggio dell’eroe che procede sul filo di un pericolo psico-fisico costante e avanza, senza riposi, per continue prove centrali «in un luogo ostile per natura, una giungla in cui se ti muovi e sbagli un serpente ti morde alla gola». Le vicende raccontate in ogni capitolo offrono l’occasione di aprire parentesi, divagare intorno a questioni senza tempo come l’amicizia, l’amore, la famiglia, la stupidità, la debolezza, la solitudine, la nostalgia del divino, la necessità inappagabile di fare di sé qualcosa di meglio di ciò che si è. Il racconto delle prime volte in carcere, dei rischi corsi, degli eventi traumatici, della felicità di momenti miracolosi, del rapporto con gli agenti, dell’intreccio di vita con i collaboratori, dei premi vinti, della pazienza necessaria e delle strategie per conquistare terreno, si fa sempre più rarefatto nella seconda parte del libro. Di anno in anno, una pagina dopo l’altra, ricordi e aneddoti perdono chiaroscuro, seguendo l’andamento di una vita che cede il passo a una vita solo nell’arte, sempre più lontana dalle trame della quotidianità, e più immersa nel mondo delle idee.
“… Non sono mai riuscito fino in fondo a dire cos’è quest’idea. Forse non riusciremo nell’impresa neanche stavolta. Ma magari riuscirà, in un modo che non sapremo, lo sguardo di chi si avvicinerà alla storia raccontata in questo dialogo che prova a superarci e a lanciarci oltre noi.”
Armando Punzo
“Nella prefazione all’edizione definitiva del suo volume di conversazioni con Alfred Hitchcock, François Truffaut ha scritto che l’idea di intervistare a lungo il grande regista cinematografico è nata dalla frustrazione di un giovane cineasta, con un recente passato di critico (e quindi ancora in preda a una matta voglia di “convincere”), nel vedere clamorosamente travisato dalla critica statunitense il successo di un regista che lui riconosceva come un maestro. «Se avesse accettato, per la prima volta, di rispondere a un insieme sistematico di domande, si sarebbe potuto scrivere un libro in grado di modificare l’opinione dei critici americani», pensava Truffaut, che avrebbe annoverato per sempre Il cinema secondo Hitchcock tra le sue opere principali, alla stregua dei film più importanti che ha firmato.
Credo di poter dire che una simile presunzione abbia animato anche me nell’accettare la proposta di Armando Punzo e di Luca Sossella di approfittare del dialogo cominciato con Armando nel 2012, per realizzare un libro che provasse a illuminare molti degli equivoci che circolano intorno al suo lavoro in carcere e alla sostanza della sua arte. In qualche modo, dentro di me, volevo scongiurare il pericolo che la realtà potesse vendicarsi della sua hybris tramandando male la sua storia, ovvero consolidando le tante letture che, nell’elogiare con slancio e in buona fede le ricadute sociali dell’esperienza con la Fortezza, hanno tralasciato di mettere a fuoco con scrupolosità e precisione i caratteri straordinari della sua ricerca schiettamente artistica. Queste le premesse. Nei fatti le cose sono andate oltre. Il rigore e la costanza con cui abbiamo preso a registrare, sbobinare, smontare e rimontare le interviste per due anni hanno sprigionato, come succede in certi tuffi santi che cambiano la vita, una indescrivibile passione per il confronto. Lui aveva bisogno di raccontarsi, io di scrivere finalmente una storia e di chiedere cose che non avrei mai chiesto ad altri con tanta cavillosità. Il lavoro è andato avanti molto più a lungo del previsto, orientato anche dall’umore e dai sentimenti, intrecciandosi a mesi, anni di vita complessi, proprio mentre in me si faceva irrimandabile la resa dei conti con quel senso di angoscia, insoddisfazione e infelicità che attanaglia buona parte della mia generazione. Proprio come Truffaut con Hitchcock, ho provato a trattare Punzo come Edipo con l’oracolo. Tra una domanda sulla recitazione, e un’altra sulla regia, l’ho interrogato sulle questioni più dolorose che mi venissero in mente, ricevendone in cambio non consigli vaghi e saccenti, ma esempi tratti dalla sua esperienza, un richiamo costante al fare, alla misura concreta del lavoro. Un metodo. Penso di poter dire, infatti, che se un insegnamento veramente prezioso si può ricavare dall’autobiografia di un artista ossessivo che riformula da trent’anni la stessa domanda su di sé e sui propri limiti, è che la “pratica”, oggi più che mai, è l’unica soluzione possibile per forzare il reale e modificare davvero un pezzo di mondo; che in questo universo sconfinato dove sembra di poter fare tutto e ogni cosa appare sempre troppo poco, dove successi e sconfitte solo supposti, pensati, fantasticati, ci paralizzano e consumano, dove idee e processi non sono mai veramente nostri, dove la vastità del possibile rende insignificante ogni realizzazione – individuare una pratica precisa, fisica, concreta, e insistere per sempre, dedicarle una vita intera, è una via lastricata di rinunce ma anche di momenti di intensa felicità.”
Rossella Menna
“Autobiografia. Se penso alla parola mi vengono in mente Le confessioni di Rousseau e Confessiones di Agostino d’Ippona che si sa sono autobiografie. Con autos, bíose grápheinsi indica, ovvio, la scrittura della vita di se stessi. Innumerevoli sono i precedenti autobiografici assai significativi nella tradizione occidentale, dagli Essais di Montaigne sino all’Ecce homo di Nietzsche o le Rêveries di Rousseau o il Discorso sul metodo di Cartesio che ha indicato la strada della narrazione auto-metodologica. L’azione narrativa di se stesso descrivendo la costruzione di sé edifica nel contempo un monumento autocelebrativo, ma l’idea di Un’idea più grande di me è la delega conversazionale (vale la pena ricordare che ininformatica questo termine equivale a interattivo) consegnata a Rossella Menna che pertanto determina una relazione che si fonda fra due istanze, il suo domandare e il suo trascrivere, ovvero un “terzo suono”, per usare la metafora del violinista Tartini. E allora mi torna in mente il libro di Gertrude Stein Autobiografia di Alice Toklas dove l’autrice, Stein, scrivendo l'(auto)biografia per conto terzi scrive di sé descrivendo la vita di Alice Toklas, ma lo fa allontanandosi per vederla meglio. Ora, Punzo e Menna organizzano il racconto di un progetto trentennale della Compagnia della Fortezza, trasferendo un testo mobile dall’orale allo scritto che poi viene letto a voce alta per essere infine ri-tra-scritto. Se fosse possibile immaginare un’estetica del piacere testuale, scriveva Barthes ne Le plaisir du texte bisognerebbe includervi: la scrittura ad alta voce: «Questa scrittura vocale (che non è affatto la parola), non si pratica mai, ma è senza dubbio questa che Artaud raccomandava.» Sembra complesso invece è semplice, senza stramberie cervellotiche, e tutto con la consegna sincera del significato. Sarò ben lieto di mostrare, in questo discorso, quali sono le vieche ho seguite, dirà Cartesio nel suo Discorso sul metodo e di ritrarvi un quadro della mia vita, affinché ognuno possa giudicare. Anche Punzo in questo libro descrive il suo metodo, ma come nell’illustre precedente filosofico cartesiano non vuole insegnare il suo metodo anzi invita a far sì che ognuno possa seguire la propria ragione, e presenta questo scritto come una narrazione di un progetto più grande di sé, o, se volete, come un sogno. Il nostro interesse editoriale nei confronti dell’autobiografia, non consiste nel rivelare una conoscenza di sé degna di lode quanto nel dimostrare l’impossibilità della scrittura di accedere all’essere, nondimeno costituendone un progetto etico, questo è l’esempio, tramite il testo, che vorremmo proporre. Nella Gaia scienza di Nietzsche c’è un aforisma (La coscienza dell’apparenza è il titolo) che dovrebbe essere scritto con inchiostro simpatico sul frontespizio di ogni testo di questa collana: «mi sono destato di colpo in mezzo a questo sogno, ma solo per rendermi cosciente che appunto sto sognando e che devo continuare a sognare se non voglio perire»”.
Luca Sossella
Per maggiorni informazioni
Luca Sossella Editore
info@lucasossellaeditore.it