Nihil – Nulla
Immagini dal non teatro di Armando Punzo
da Hamletmaschine di Heiner Müller
regia Armando Punzo
collaborazione artistica Nicola Rignanese
musiche originali Pasquale Catalano
scene Valerio Di Pasquale
luci Roberto Innocenti
consulenza musicale e suono Barnaba Ponchielli
con Massimo Alì, Alessandra Bernardeschi, Stefano Cenci, Sabrina Corabi, Elena D’Anna, Davide D’Antonio, Rosanna Gentili, Emanuele Pasqualini, Barnaba Ponchielli, Martina Pittarello, Nicola Rebeschini, Nicola Rignanese, Anna Rispoli, Roberta Rovelli
produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana, La Biennale di Venezia, Zuercher TheaterSpektakel, Carte Banche/VolterraTeatro
Nel 1999 Armando Punzo incontra, in un laboratorio alla Biennale di Venezia, un gruppo di una trentina di persone, attori ed aspiranti-attori. Con una parte di quel gruppo e con persone che si aggiungeranno poi è proseguito il lavoro. Lo spettacolo è il risultato del lavoro di questo gruppo, del confronto e dello scambio di esperienze con i detenuti-attori della Compagnia della Fortezza, che a loro volta lavoravano sull’Amleto.
Non si sceglie di fare teatro. Caso mai si sceglie di non farlo, di disfarlo, per dargli nuova gloria.
Non posso mai scrivere una presentazione del mio lavoro prima che questo sia terminato, abbia cessato di porre le sue domande, posso solo indicare un percorso.
Se sapessi già in anticipo dove mi condurrà un nuovo lavoro e quello che riuscirò a dire e fare eviterei di farlo, lo troverei inutile e noioso.
Per questo motivo credo che non sarò mai capace di essere un regista nel senso classico, un metter en scene.
E allora come rendere comprensibile un percorso e i motivi che mi hanno spinto a lasciare un territorio da me conosciuto per realizzare una nuova impresa, quando è proprio negli imprevisti, nei pensieri che sviano, nelle scoperte che emergono dal lavoro, aprendo nuove ed inattese prospettive, che secondo me vale la pena perdersi, per ritrovarsi alla fine, ma solo alla fine del percorso per poter dire di saperne forse qualcosa in più?
Non posso che provare a descrivere quello che già conosco: il punto di partenza e il punto dove siamo oggi.
Per molti anni mi sono rinchiuso nel carcere di Volterra per realizzare un progetto di teatro su cui molti, agli inizi, non avrebbero mai scommesso.
Il nostro teatro è cresciuto lontano dalle istituzioni teatrali recuperando un proprio spazio di frontiera con regole e modalità che ne hanno segnato, in questi anni, l’identità culturale.
Abbiamo scoperto che la nostra scelta estetica e la libertà del nostro atto creativo potevano realizzarsi proprio lì dove ad alcuni sembrava impossibile; abbiamo scoperto che la ricerca di un sempre rinnovato senso del teatro non può che iniziare quando ci si avventura in nuovi territori, quando ci si lascia alle spalle la sicurezza del già noto. Con questo mio rifiuto tentavo disperatamente di negare il teatro con tutti i vizi e le storture ad esso collegati e la mancanza di necessità che generalmente lo caratterizza.
Avevo bisogno di sentire motivazioni forti che facessero saltare in aria l’idea e la pratica del teatro come mestiere e l’incapacità di prendere dei rischi che riconosci nella maggior parte degli attori e delle opere che vedi a teatro.
Dopo tredici anni di lavoro dedicati interamente alla Compagnia della Fortezza dovevamo comunque provare, ancora una volta, forse solo per verificare il nostro cammino, a lasciare la nostra postazione, uscire dal nostro (felice) isolamento e provare a incontrare (contagiare?) chi il teatro ha scelto di farlo per mestiere.
Le precedenti esperienze, volutamente rare, con attori ci avevano comunque insegnato molto.
Due anni fa a Venezia, in un laboratorio di una decina di giorni, ho incontrato un gruppo di circa trenta persone: giovani attori, aspiranti attori, che sono venuti curiosi di incontrare quelli che lavoravano in carcere con i detenuti-attori della Compagnia della Fortezza.
Mi sono trovato di fronte a volti, occhi, sguardi, attitudini e pensieri molto diversi da quelli con cui normalmente lavoro tra le mura del carcere.
Attraverso quel gruppo di giovani realizzavo quanto era grande la distanza tra il mio lavoro in carcere e quello che avrei potuto fare fuori con loro.
Sono partito dal tema del Nulla per risalire controcorrente, man mano che avanzavamo nel lavoro, verso un autore e le sue parole.
L’idea del vuoto, del nulla, del nichilismo è venuta con loro e da loro.
Dal Nulla siamo passati al Nichilismo, all’Uomo in rivolta di Camus, fino ad arrivare all’Essere o non essere , al significato di questo oggi, all’Amleto e alla sua negazione con il testo di Muller.
Ogni spettacolo è (deve essere) il tentativo di distruggere la realtà, Muller parla molto significativamente di renderla impossibile.
Amleto è la morte.
La sua sofferenza non mi commuove, il suo dolore lo recita, prova i suoi stati d’animo come un attore ma nel dramma si pretende di essere nella vita. Solo l’espediente della sua follia mi interessa, questo cercare di sottrarsi al suo penoso ruolo. Se penso che molti si identificano in questo personaggio, e che questa identificazione è alla base di molte realizzazioni sceniche trovo davvero che siamo ormai completamente deformati, siamo pericolosi per noi stessi e per gli altri.
Perché non reagire a questo personaggio, a questa condizione, invece di esercitarsi a raccontarlo?
La macchina di Amleto (Hamletmaschine) è la vita che rinnova incessantemente il mito del Danese ma anche il suo conseguente rifiuto.
Quello di Muller non è il solo testo ispirato all’opera scespiriana fondato sul rifiuto del ruolo sociale, politico, esistenziale e teatrale del personaggio Amleto, anche altri hanno seguito questa strada (basti ricordare Laforgue) ma in Hamletmaschine si avverte forte la fine dell’utopia, la caduta che svela la vita che ci circonda. E’ come se la vita si manifestasse in tutta la sua orribile e banale quotidianità senza via di scampo, senza via di fuga.
Sono arrivato ad Hamletmaschine partendo dal titolo che nella traduzione in Italiano mi suggerisce l’immagine di un meccanismo a cui non ci si può sottrarre, che si ripeterà sempre uguale a se stesso come una spirale, come un incubo da cui vorremmo svegliarci.
Adesso non resta che vedere quale porzione di realtà che non amiamo (nata dal non amore) metteremo in scena.
Armando Punzo
prima rappresentazione
24 agosto 2001
Teatro alle Tese, Biennale di Venezia – Venezia