‘O juorno ‘e San Michele
da Elvio Porta
regia Armando Punzo
con la collaborazione di Annet Henneman
collaborazione drammaturgica Renato Gabrielli
scene Armando Punzo, Diana Di Chiara
costumi Olivia Spinelli, Diana Di Chiara
hanno collaborato Cristina Dell’Aiuto, Valentina Cioni, Isabella Di Fabio
Compagnia della Fortezza: Agostino Amadei, Alfonso Cammarota, Giovanni Carbonella, Carlo Castelli, Ciro Cella, Costantino Ciaramella, Bernardino Cosenza, Pietro Di Biase, Ludovico Di Leva, Pasquale Gulisano, Yomiai Hammami, Marco Luoni, Francesco Mesi, Francesco Penna, Costantino Petito, Carmine Piccolo, Francesco Scimone, Achille Sorvillo, Giovanni Sutera, Pasquale Verde.
produzione Carte Blanche e VolterraTeatro
con il contributo di Regione Toscana – Provincia di Pisa – Comune di Volterra – Comunità Montana Alta Val di Cecina
Ho sempre immaginato il teatro come un luogo dove si possono mettere in moto dinamiche che non sono possibili nella vita di tutti i giorni. Come uno strumento che se usato bene è fonte di crescita personale e collettiva. Ho sempre intuito al di là del teatro qualcosa di intimamente utile che non poteva e non può essere ridotto al solo momento spettacolare. Un’utilità intesa come superamento di limiti personali ed oggettivi, come sguardo ed azione coraggiosa verso nuovi orizzonti, come esercizio sincero di libertà. Un’oasi per un confronto profondo con noi stessi ed il mondo deformato che amiamo costruirci intorno.
Il nostro teatro è come un teatro prima del teatro, un teatro di là da venire, dove è importante ed essenziale non solo l’evento ma cosa e come si fa. Ed è da questa oasi che a volte ci è capitato di fantasticare un’evoluzione degli uomini tale da far crollare tutto il teatro basato sull’ipocrisia, la falsità e la menzogna. Dove la ricerca della verità e del bisogno di essa sono le uniche motivazioni, gli unici ingredienti validi.
Quando sono entrato in carcere per la prima volta mi sono detto che non era un caso. Il lavoro è nato da un confronto lungo e profondo con una realtà e delle persone da cui gradualmente si è sviluppata un’ipotesi di teatro. Il mezzo usato, la chiave di accesso, è stata la disponibilità, la pazienza, l’attenzione quotidiana verso questa particolare situazione, l’attesa. Niente di più dell’attenzione verso le persone, la situazione ed il progetto comune.
A tre anni dall’inizio credo che il lavoro in carcere sia sempre lo stesso, quello che realmente muta è la consapevolezza dei componenti della compagnia che porta di volta in volta a una diversa formalizzazione degli spettacoli. Questi sono nati da un’evoluzione ed un bisogno interno, ogni anno abbiamo sentito di dover fare un passo avanti, abbiamo portato a termine quello che avevamo appena intravisto l’anno precedente. Abbiamo ripreso da lì dove ci eravamo fermati. Fino ad arrivare quest’anno ad usare il testo, il teatro, il nostro incontro, come un modo per sognare, per trovare una libertà maggiore e un gusto nel fare che ci era sempre un po’ sfuggito. Abbiamo intrapreso un viaggio che ci ha portato anche ad allontanarci dal testo e a seguire altre suggestioni: il Savinio pittore. Entrando in carcere ho riscoperto un mondo dimenticato, ho ricordato di essere napoletano, di appartenere alla stessa terra, alla stessa emarginazione, come dicono gli altri. Ho riconosciuto gesti, voci e suoni, quelli del Sud, della terra arsa dal sole, quieta sotto la calura estiva dove a tratti il canto delle cicale emergeva forte, quasi ossessivo, e un ulivo era l’unico riparo. Ho ripensato, in certi pomeriggi passati con i detenuti a raccontarci episodi della nostra infanzia, alla vergogna provata quando ancora piccolo un maestro ti diceva: “Se non riesci a spiegarlo in italiano, dillo in napoletano”. A quando più tardi, un po’ più grande, scrivevo in un diario: “Verrà un giorno in cui mi troverò faccia a faccia con chi permette che un bambino si debba vergognare”. Credo che dietro a tutto questo ci sia – se proprio ci deve essere qualcosa – una motivazione forte, che è la vendetta di un bambino, la necessità di dimostrare a tanti benpensanti che anche in certi luoghi possono nascere dei fiori e che non c’entrano nulla l’azione sociale e il pietismo. Si tratta di teatro, anomalo quanto si voglia, ma è teatro. E se qualcuno per strada mi ha fermato dicendomi: «Qui ci sono dei principi che si stanno perdendo», significa che siamo a un buon punto, anche se i nostri spettacoli sono come i fiori del deserto, nascono, sempre per miracolo, durano, il tempo di un giorno, (forse già tre?).
Armando Punzo
prima rappresentazione
7, 8, 9 luglio 1991
Carcere di Volterra
un ringraziamento particolare al Direttore della Casa di Reclusione di Volterra Dott. Renzo Graziani e al Corpo di Guardia degli Agenti di Custodia per la disponibilità dimostrata nei confronti del progetto
si ringrazia inoltre il Direttore generale delle Case di Reclusione in Italia Prof. Nicolò Amato per aver concesso le tre repliche interne dello spettacolo