Il Progetto Hybris
Per celebrare una ricerca artistica che dal 1988 riformula con architetture sempre più visionarie un radicale rifiuto delle leggi della realtà, Armando Punzo ha ideato un progetto speciale biennale dedicato al tema della Hybris. Il progetto, a cura di Carte Blanche, è stato pensato per il biennio particolare che si concluderà nel 2018, anno in cui ricorre il trentennale della Compagnia della Fortezza.
Per due anni, a partire dai temi “impossibili” che caratterizzano la poetica del regista, attraverso spettacoli, incontri, presentazioni, mostre, convegni e laboratori, si proverà a rovesciare la prospettiva comune che assegna al potenziale della superbia un significato negativo. Nella trama della tragedia la hybris è una colpa dovuta a un’azione che viola leggi divine immutabili. Nel nostro vocabolario vuol dire superbia, insolenza, tracotanza: tutti atteggiamenti da biasimare. Il dizionario etimologico ci dice però che insolente (da in solere) significa “colui che fa cose insolite” e tracotante (da ultra cogitare) è “colui che va oltre col pensiero”. Vogliamo allora intendere Hybris non più come arroganza, come colpa – da punire – del violare i limiti, ma come sfida, coraggio, sogno, amore: come libera, rischiosa, spregiudicata ricerca della felicità, contro ogni apparentemente immodificabile dato di realtà.
A inaugurare il progetto è Le parole lievi. Cerco il volto che avevo prima che il mondo fosse creato, preludio del nuovo lavoro della Compagnia della Fortezza, ispirato all’opera di Jorge Luis Borges, con regia e drammaturgia di Armando Punzo, andato in scena dal 25 al 29 luglio 2017, nella Fortezza Medicea di Volterra.
Il nuovo lavoro nasce come ideale prosecuzione dell’ultimo spettacolo dedicato all’opera di William Shakespeare. Nell’ultima scena Lui e il Bambino, il protagonista e il suo alter-ego, abbandonavano l’isola desolata, l’affresco di trame, intrighi e passioni in cui il Bardo avrebbe voluto imprigionarli per sempre. Dove vanno, ora, quei due? A cosa possono rivolgersi se non vogliono più restare in quel quadro che li vorrebbe imprigionati per sempre in un destino umano fatto della sostanza di un’eternità che sembra ripetersi uguale a se stessa senza scampo? Se non in questa vita, in quale? La scaturigine della nuova ricerca è questa smisurata domanda.
Punzo e gli attori della Fortezza cercano nel vocabolario le parole lievi, quelle che si riferiscono all’universo dell’immateriale, impalpabile, invisibile, in potenza: le parole capaci di nominare il nuovo che ancora non esiste, un tema che non c’è (e non l’ennesima variazione su temi dati), quelle che designano le idee non ancora pensate, l’uomo che può ancora essere generato, il mondo in cui quei due possono abitare, un mondo in cui «il reale è solamente ciò che vede la maggioranza». Nei suoi racconti Borges incrina proprio il principio di realtà, allontana il lettore dal piano della quotidianità e della concretezza, costringendolo a smarrirsi nel mondo delle idee; nelle sue opere niente è attendibile, tranne quelli che lui stesso definisce «momenti buoni», quando l’Aleph si riversa nella terra e la terra nell’Aleph, quando il senso delle cose si manifesta d’improvviso e tutto insieme «in una notte unanime» o in «un bacio in Islanda». Alla resa dei conti, in un viaggio disseminato di labirinti e finzioni, saranno gli attimi più impalpabili, più irreali, inafferrabili, eterei, i momenti di apertura, di sconvolgente libertà assoluta, a conquistare spazio maggioritario e guadagnarsi consistenza di realtà.
Cosa è reale? È reale quella finestra? Sono reali quelle punte di ferro? Sono reali quelle mura che ci proteggono? E l’aria che si muove dolcemente oggi, e il cielo che guardiamo sempre poco, e il sole nostro padre e madre, tutore, angelo custode che nasconde la sua corruzione in miliardi di anni, e la mia mano, e la notte che la nasconde, e i mei occhi che non possono vedersi se non in un riflesso, e la schiena dell’altro che non sarà mai la tua e la ricorda e te la rappresenta per non darti da pensare, e il cuore che batte nascosto il suo moto vitale infinito, che ripete con le sue fragili forze quello delle stelle, delle acque che battono una riva, che fluiscono tra morbidi argini e ferme specchiano il Narciso di un attimo, e la luna che cresce, decresce fino a farsi dimenticare, e l’anima che non si trova tra le viscere, in nessun luogo situabile, e l’amore oltre noi, insostenibile, che svela la nostra incapacità, e lo sforzo di comprendere la natura che ci sfugge come una tenera gemma che appare al mondo, e il colpo di un artiglio crudele e giusto, e le umane vicende che si ripetono senza tempo, e il dolore che ci cerca? Questo attimo è reale, solo questo, quest’attimo che li condensa tutti e li nega, li sospende, quest’attimo che non potrai mai trattenere e la cui forma svanirà per sempre per apparire in altre forme mutevoli – Armando Punzo
Area press
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